Nel 2019 abbiamo incontrato Pierluigi Alinari, un capitano d’industria che ha davvero lasciato una traccia indelebile nel settore dei veicoli ricreazionali. Questa intervista rappresenta una storia di particolare valore per il nostro settore. Un omaggio a un coraggioso e lungimirante imprenditore che ho avuto la fortuna di incontrare diverse volte nella mia carriera professionale. Pierluigi Alinari è scomparso il primo maggio 2020 all’età di 85 anni.
testo di Antonio Mazzucchelli
Pierluigi Alinari, fondatore di diversi marchi tra i quali PLA, è considerato uno dei pionieri del settore camper in Europa. E non è stato solo uno dei costruttori italiani più attivi e dinamici è anche stato orgogliosamente un camperista. Con la moglie Graziella ha affrontato viaggi avventurosi in zone remote, quando i veicoli non avevano certo l’affidabilità e il comfort di quelli odierni. Ha iniziato come fornitore nel settore delle caravan nel 1970, poi nei primi anni ‘80 ha acquisito il marchio britannico Caravans International. Ha anche partecipato alla creazione del marchio Mc-Louis e dei brand Joint Camping Car e Dream Motorcaravan. Ha dato vita alla PLA nel 2010, nel 2014 ha acquistato la Giottiline. Nel 2016 ha venduto la quota di maggioranza della sua società al Gruppo Rapido.
Partiamo dalla fine. Quali sono i motivi per cui ha venduto il marchio PLA al Gruppo Rapido?
Pierluigi Alinari: All’età di 83 anni si comincia a essere stanchi e nella mia azienda, insieme a mia moglie Graziella, era ancora tutto sulle mie spalle. Nel 2016 pensai a Pierre Rousseau e bastò fargli arrivare voce che i tempi erano maturi per diventare soci, poiché mandasse il suo jet personale a prendermi. Poi ci volle circa un anno per individuare un manager in grado di sostituirmi alla guida dei due marchi. In ogni caso fino alla fine del 2019 rimango proprietario del 30% di PLA e Giottiline.
Ci racconti la sua storia imprenditoriale.
Pierluigi Alinari: Nei primi anni ’80 lavoravo nel settore del caravanning come fornitore, principalmente per il costruttore di caravan italiano Roller. Ero anche un appassionato viaggiatore e a bordo di caravan prima, e poi di camper, ho fatto parecchi viaggi, alcuni molto particolari come il Nepal e l’Afghanistan. Costruivamo pareti e pavimenti e componenti in legno per veicoli ricreazionali. Le cose andavano molto bene, tant’è che costruimmo un capannone proprio a fianco al nostro miglior cliente, la Roller, dove assemblavamo i mobili. Poi venne la crisi, il lavoro crollò e mi trovai a dover fare delle scelte difficili, compreso il licenziamento dei miei dipendenti. Dei nostri clienti, l’unico solvente era l’inglese Caravans International, che aveva uffici e produzione anche in Italia. Gli inglesi erano intenzionati a vendere e io, nonostante la crisi, a comprare. I modelli in produzione erano poco attraenti per il mercato italiano. Così creai un modello di caravan che chiamai ZERO. Costava poco ed ebbi successo. E l’anno dopo presentai un camper. Anche in questo caso, piacque.
Perché decise di vendere Caravans International?
Pierluigi Alinari: Nel 1996 mi resi conto che non riuscivo più a gestire un’azienda così grande da solo. Avevamo circa 230 dipendenti. Accettai l’offerta della banca d’affari Schroders e vendetti il 67% delle quote di Caravans International. Mi affiancarono un manager con cui non riuscivo ad andare d’accordo e chiesi di uscire. Schroders non era favorevole, ma poi nel 1999 liquidò le mie quote, vendendo il marchio a Trigano.
Poi venne l’epoca di McLouis…
Pierluigi Alinari: Esattamente. Io avevo un patto di non concorrenza con Trigano, così suggerii a mia moglie di creare una serie di camper destinati al noleggio con alcuni soci. Nacque McLouis, ma già dopo tre giorni i concessionari ci chiesero di produrli per la vendita e non solo per il noleggio. Alla prima fiera a cui partecipammo ricevemmo 2000 ordini.
E dopo soli due anni decise di vendere il marchio al Gruppo Sea.
Pierluigi Alinari: Non avrei voluto vendere, ma Trigano fece causa a me, a mia moglie e ai suoi soci sostenendo che avevamo infranto il patto di non concorrenza. Cause milionarie e diversi avvocati coinvolti per tutelare gli interessi di tutti i citati. Accettai la proposta di acquisto del Gruppo Sea. Era il 2001 e immagino che il fondo proprietario del gruppo SEA avesse già contatti con Trigano, perché la causa venne fermata. Io diventai socio del Gruppo SEA, ma non mi era concesso di lavorare per McLouis. Così decisi di inventare un nuovo marchio.
Lo spagnolo Joint, corretto?
Pierluigi Alinari: Esatto. Conobbi l’ex direttore di Moncayo e decisi che si poteva fare: andare in Spagna a produrre in un Paese che aveva anche grandi potenzialità di crescita. Costruimmo in pochissimo tempo un’azienda in un territorio sperduto, sembrava di essere in un film western. Il Gruppo Sea volle essere socio al 50% di questa mia nuova avventura imprenditoriale. E dopo due anni mi chiesero di poter acquistare il 100% di Joint.
Nel frattempo lei rivestiva anche la carica di vicepresidente del Gruppo Sea. Qual era il suo ruolo operativo nel gruppo?
Pierluigi Alinari: Avevo grosse responsabilità e non era facile gestire una macchina complessa come il Gruppo Sea in quegli anni. Non ero a mio agio perché non riuscivo a intervenire per raddrizzare situazioni che non mi piacevano. Nella sede di Milano mi occupai prima del marchio Mobilvetta e poi di Elnagh. Quindi nel 2003 lanciai Dream Motorcaravan.
Ricordiamo Dream, un marchio con interessanti caratteristiche costruttive.
Pierluigi Alinari: È il progetto di cui vado più orgoglioso. Ci vollero tre anni di studi, più di un milione di investimento in ricerca e sviluppo. Alla base del progetto c’era una grande innovazione nel processo produttivo delle scocche, realizzate mediante stampaggio a iniezione in cinque elementi, poi assemblati in unico guscio detto “Monoshell”. Il rivestimento esterno era in vetroresina, e l’isolamento era costituito da schiuma poliuretanica iniettata con un processo industriale che eliminava gli imprevisti di un assemblaggio artigianale. Altrettanto nuovo era il sistema di costruzione del mobilio che permetteva di ottenere antine curve con un processo inedito, senza giunture e con costi sostenibili.
E poi venne l’epoca di PLA…
Pierluigi Alinari: Uscii definitivamente dal Gruppo Sea nel 2005 e nel 2006 usci anche mia moglie Graziella. Mi fermai per cinque anni. “Penso, progetto e aspetto”, mi dissi. Poi nel 2010 lanciai il marchio PLA nel momento peggiore, quando la crisi in Italia di questo settore era profonda. Fu faticoso. Le banche non davano più alcun finanziamento alle aziende del settore caravanning e io dovetti affrontare la nuova avventura solo con le mie risorse. Per alcuni anni l’azienda fu in perdita, poi però siamo riusciti a metterla nei binari giusti.
Perché in questa situazione, dove già aveva il suo daffare con PLA, ha deciso di acquistare Giottiline?
Pierluigi Alinari: Ci fecero causa dichiarando che uno dei nostri ingegneri, che aveva lavorato anche per loro, aveva copiato dei progetti. Non era vero, ma servì a Giottiline per calmare i creditori e ottenere un po’ di tempo. Nel 2015 vincemmo la causa e decidemmo di comprare l’azienda. Mi attendeva una nuova sfida. Ma l’età stabilisce le sue norme e viene un momento in cui è opportuno lasciare il timone ad altri. Ci abbiamo messo più di un anno a individuare l’ing. Giuseppe Pinto per sostituirmi alle guida dei due marchi. E sono contento che le mie aziende siano nelle mani della famiglia Rousseau, imprenditori appassionati e capaci, in grado di garantire un futuro e uno sviluppo anche al marchio che porta il mio nome: PLA cioè PierLuigi Alinari.